Nel bestiario delle diverse difficoltà, non necessariamente organiche, che pregiudicano l’efficacia dei processi di apprendimento, un posto d'onore è spesso occupato dalla capacità o meno di ogni studente di gestire le pause.
Possiamo sostanzialmente suddividere questi soggetti in tre grandi categorie.
La prima è quella del maratoneta, colui che non fa una pausa manco a sparargli e se ne sta attaccato al libro ore e ore, finché non ha concluso ciò che deve studiare. Questa categoria, non particolarmente numerosa, tende ad aumentare i suoi adepti in prossimità di ogni verifica, esame o interrogazione quando, insane e improduttive full-immersion dell’ultimo momento, illudono lo studente di poter recuperare settimane di pigro fancazzismo o semplicemente placare l’ansia del “non mi ricordo più niente”.
Numerose ricerche hanno dimostrato che questi straforzi dell’ultimo minuto non solo sono inutili, ma anche dannosi per la salute, tanto che, per essere più efficaci, si dovrebbe arrivare al fatidico ultimo giorno senza nemmeno aprire il libro -il che implica una adeguata organizzazione da parte dello studente, ma anche docenti formati che sappiano quanto sia didatticamente insensato non lasciare al discente almeno due settimane di tempo per prepararsi, cosa che sarebbe anche semplice se si soprassedesse all'ideologia esclusivamente punitiva delle interrogazioni a sorpresa a favore di quelle programmate.
La seconda categoria è quella, più che ben rappresentata, del cazzaro: colui che fa più ore di pausa che minuti di studio, quello che arriva all'ultimo minuto pensando che poi, semplicemente posando la testa sul libro, le nozioni passino per magica osmosi nel suo cerebro. A vero dire a questa categoria non sempre corrisponde un atteggiamento volontario, come potrebbe tradire il nome; a volte si tratta più semplicemente di studenti che, per vari motivi, presentano un difetto nella capacità di concentrazione, ma il risultato finale (laddove non si operi per migliorare tale lacuna) è comunque lo stesso.
La terza categoria è quella, per mia statistica meno frequentata, che dà il titolo a questo articolo: il fabbricante di pause, ovvero colui che scientemente studia e programma le pause da fare.
La terza categoria è quella, per mia statistica meno frequentata, che dà il titolo a questo articolo: il fabbricante di pause, ovvero colui che scientemente studia e programma le pause da fare.
Quest'ultima è la categoria che maggiorante ci interessa, perché qui sta una delle più efficaci strategie per studiare bene: fare pause e farle sensate.
Infatti, se la categoria del cazzaro che, per diversi motivi, naviga nel multiverso della pause, virando da una distrazione all'altra, è evidentemente disfunzionale ad una buona pratica di apprendimento, non diversamente lo è, come abbiamo accennato, la categoria apparentemente più adeguata del maratoneta.
Insomma, qualsivoglia estremismo è a rischio di disfunzione, quando non tracima addirittura nel patologico, e non difettano questi esempi.
In verità le pause sono fondamentali per costruire un buon metodo di studio (come per altro qualsiasi attività). Il problema è che, spesso, sono affidate al caso, cosicché -nella migliore delle situazioni- finiamo per fare pausa quando siamo stanchi, il che significa aver già compromesso la nostra efficacia.
I più virtuosi tra gli studenti con cui ho avuto la possibilità di lavorare, mi dicono: “Ma io mentre studio non mi stanco”. È vero, lo studente abituato, spesso non sente come il maratoneta la stanchezza. Peccato però che poi, a fine percorso, se non ha usato ben le sue energie, bisogna raccoglierlo con il cucchiaino.
Un esempio eclatante è stata la maratona femminile delle Olimpiadi di Londra 2012, vinte dall'etiope Tiki Gelana sulla keniota Florence Kiplagat che, in testa fino agli ultimi 5 km, forzava eccessivamente il ritmo, tanto che un crollo fisico la farà giungere al 20° posto.
Nella maratona, come nella vita, non vince solo colui che ha una condizione migliore, ma chi la sa gestire al meglio, calibrando le proprie energie.
E per lo studio come funziona?
Per quel che concerne lo studio dobbiamo anzitutto sapere che il cervello umano, fosse anche quello del classico secchione che prende sempre il massimo dei voti, ha un tempo di concertazione che si aggira attorno ai 40/45 minuti; dopo quel tempo la sua attenzione inizia inevitabilmente a declinare e, come il maratoneta, se forza oltre quel muro, rischia solo di produrre inutile stanchezza -ogni buon docente dovrebbe saperlo e tarare le sue lezioni su questa ritmica.
La mia esperienza tuttavia mi dice che non sono molti gli studenti che riescono a tenere 45 minuti di concentrazione (di concentrazione vera!! Non a caso nel mio percorso dedicato a rendere efficace il metodo di studio -scoprilo qui- dedico una parte sostanziale proprio alle strategie per migliorare i tempi di concertazione). Stare 45 minuti incollati al libro, immersi nei suoi contenuti, non è, insomma, roba sa tutti. E' allora, anzitutto, importante sapere qual'è il nostro Punto di Disattenzione, dove -appunto- la nostra concentrazione cede.
Farlo è semplicissimo ma, chissà perché, come molte delle cose semplici e fruttuose, pochi lo fanno.
Prendete allora un cronometro (molti smartphone ne hanno uno già preinstallato), avviatelo mentre chinate la testa sul libro e cercate di restare il più a lungo possibile immersi nello studio; quindi, quando risolleverete la testa, come emergendo dalle profondità marine, arrestate il cronometro. Sono passati cinque minuti? Dieci? Trenta? Questo è il vostro Punto di Disattenzione.
Attenzione. E' bene sapere che non basterà una sola rilevazione. Affinché il punto di disattenzione sia il più preciso possibile, monitoratevi per una settimana e segnate tutte le misurazioni: la media dei risultati si avvicinerà maggiormente alla vostre reale capacità.
Conoscere questo dato è fondamentale e vi permetterò, da qui in poi, di non andare più a caso.
Prima di iniziare a studiare potrete, infatti, settare un qualsiasi timer (anche in questo caso molti smartphone ne hanno uno già preinstallato), esattamente sul vostro Punto di Disattenzione, sapendo che, quando suonerà, sarà il momento giusto per fare una pausa.
A questo punto molti studenti mi chiedono, ma se è bene non superare i 45 minuti, qual'è il tetto minimo sotto il quale non dovremmo andare?
Gli studi ci dicono che studiare diventa più efficace se riusciamo a stare concertati per almeno 25 minuti. Ciò detto, qualsiasi siano i nostri tempi, ora abbiamo un grande vantaggio: conosciamo il nostro limite e, partire da quello, possiamo allenarci per migliorarlo.
Gli studi ci dicono che studiare diventa più efficace se riusciamo a stare concertati per almeno 25 minuti. Ciò detto, qualsiasi siano i nostri tempi, ora abbiamo un grande vantaggio: conosciamo il nostro limite e, partire da quello, possiamo allenarci per migliorarlo.
Come? Semplice. Per ogni sessione di studio, aggiungi al timer 1 minuto oltre il tuo limite. Monitorati, però e non ti forzare troppo. Meglio fermarsi qualche giorno per consolidare un risultato che strafare. Vedrai che, se bene ti alleni, in poco tempo raggiungerai risultati sorprendenti.
Una volta che hai conquistato un buon tempo di concentrazione non inferiore ai 25 minuti e non superiore ai 45, puoi quindi concederti una pausa per ogni step realizzato.
Anche qui è bene non lasciare questo tempo al caso. Si è infatti osservato che, se il cervello ha bisogno di fare pausa, la concentrazione deve essere rinfrescata, non mandata in vacanza. Il tempo corretto di ogni pausa, affinché abbia la funzione di volano che risani e fortifichi la concentrazione, deve variare tra i 5 e i 15 minuti.
In questo lasso, non state seduti: fate due passi, bevete, guardate fuori dalla finestra cercando l'orizzonte, sgranchitevi (in un prossimo articolo ne illustrerò l'importanza) ma, soprattutto, non affaticate il vostro cervello con videogiochi, televisione o quant'altro, inutile dire quanto sarebbe controproducente.
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