Parafrasando il mitico brano dei Rolling Stones ("Sympathy for the Devil"), proseguiamo la "saga" iniziata qualche articolo or sono con il post "Fai la ninna, fai la nanna" e "Spaccaglielo 'sto Smartphone!", dove cercavamo di mettere in fila alcune riflessioni rispetto all'uso delle nuove tecnologie.
Ci sembra importante, in questa direzione, non cadere nell'errore di vedere solo un lato della luna, quello che chiama (in questo caso) all'allarmismo, ma provare a riflettere sull'importanza che hanno questi strumenti se ben utilizzati.
Infatti, se esistono sempre più casi di bambini e ragazzi (e adulti) che abusano delle nuove tecnologie e di cui anzitutto le famiglie a livello educativo dovrebbero occuparsi, ciò non significa che nelle nuove tecnologie non vi siano o non vi possano essere degli aspetti positivi.
La rete e i suoi strumenti di connessione rappresentano una rivoluzione epocale, infinitamente superiore (almeno in potenza) a quella della stampa -come per altro abbiamo già abbondantemente evidenziato nel post: "Perché studiamo come fossimo nell'Ottocento?". Ma per comprenderlo davvero, dobbiamo sforzarci di andare otre il diffuso dibattito che pervade l'umano quando si parla di nuove generazioni come di nuove tecnologie, cercando di opporci alla tentazione di vederne solo la dimensione deviante e, quindi, la sua conseguente demonizzazione, per soffermarsi invece sul valore positivo che ogni nuovo agito può restituire.
Fedele ad uno sguardo pedagogico promuovente, vorrei, allora, provare a guardare al fenomeno come risorsa e, attraverso questo sguardo, suggerire una possibile azione riabilitativa dello strumento e del suo uso, ad esempio puntando il telescopio sul proficuo rapporto che Smartphone & Co. potrebbero generare nelle relazione col linguaggio, in particolar modo scritto.
Uno dei presupposti da cui si potrebbe partire per compiere questa svolta “in positivo” è quello di considerare, secondo una corretta analisi linguistica, queste nuove tecnologie della comunicazione, quali strumenti capaci di definire profonde modificazioni nella morfologia, nella sintassi e persino nella fonetica delle lingue storico-naturali. Modificazioni che rappresentano, di fatto, la continua evoluzione cui sono sottoposte le lingue quando si confrontano con il reale suggellandone, di conseguenza, la loro vitalità.
Non si tratta, insomma, di trarne giudizi di valore, ma di provare a capire in cosa consista questa evoluzione e quali siano le sue possibili risorse rispetto al loro farsi strumento di conoscenza del mondo che ci circonda.
Tanto più che, a differenza di altre evoluzioni strettamente -e spesso tragicamente- governate dagli adulti, la lingua pasticciata dall'uso delle nuove tecnologie sembra per lo più patrimonio di quel prezioso tesoretto (questo sì, davvero prezioso) che dovrebbero essere gli adolescenti quando sono accompagnati da un mondo adulto che ne esalti le possibilità vitali e creative, e non sia invece esclusivamente concentrato a scovarne le “anormalità”, impedendosi un reale investimento sul fronte di quelle risorse che, comunque, ogni nuova generazione porta in dote.
La “normalità” degli adolescenti è, infatti, storicamente “anormale” (fuori da ogni norma) e sempre rivelatrice di quei nodi sociali ed esistenziali che caratterizzano le epoche a loro contingenti, proprio perché trattasi di una “normalità” in continua trasformazione che chiama, al contempo, ad una trasformazione dell’esistente lanciando al mondo adulto un surplus di senso, di interrogativi, di possibilità che approfondiscono le ragioni del vivere e che dovrebbero essere considerati enzimi del nostro futuro sociale.
Non a caso i più interessanti vagiti di comunicazione che si sviscerano attraverso le tecnologie digitali sono per lo più patrimonio delle nuove generazioni che attraverso questi strumenti esemplificano, in tutte le loro possibili estensioni, nuove grammatiche e sintassi che l’adulto non dovrebbe semplicemente censurare quando toccano limiti evidentemente deprecabili, ma provare invece ad accoglierle come l’autentica novità che rappresentano; cercando, semmai, di pre-occuparsi (di occuparsi preventivamente) affinché questa risorsa non si contamini, come invece sta accadendo, coi più ritriti e volgari, quando non violenti, luoghi comuni ereditati anzitutto dalla televisione.
Ci illudiamo che possa essere la scuola l’ambito più adatto per questo lavoro di accompagnamento. Una scuola che non commetta ancora una volta il tragico errore di snobbare queste nuove lingue, vive e in continua crescita, magari a favore di altre, ugualmente importanti, ma morte e definitivamente in stallo; per poi magari tentare di correre ai ripari con decenni di ritardo; così come provò, negli anni Settanta, con il linguaggio audiovisivo.
Giusto un'illusione, una speranza che va coltivata e che, se trova in molti docenti un saldo aggancio costruttivo, sconta con troppi altri la profonda arretratezza di chi crede che un Pdf (Portable Document Format) sia una qualche forma alternativa di Pdp (Piano Didattico Personalizzato).
(Quante volte, concludendo qualche incontro con insegnanti di ogni ordine è grado mi sento rispondere: "Mi spiace non ho una mail, sa... non ci capisco niente di 'ste cose", oppure: "Non ho la mail, le lascio l'indirizzo di mio marito/moglie/nipote" e via allucinando...).
È invece importante che qui e ora, adulti e ragazzi si trovino per compiere insieme questo passaggio, consapevoli di avere, entrambi, qualcosa da dare all'Altro: gli adulti con il loro sapere capace di mostrare le linee, nemmeno troppo sottili, che da sempre, nel connubio tra tecnologie e linguaggi, creano le nuove grammatiche di comprensione e denominazione del mondo; e i ragazzi con la loro sapienza, capace di restituire in pragma la grammatica delle tecnologie contemporanee.
Scrivere un tweet, realizzare un video per Youtube o un post per Facebook può essere una sfida cognitiva al pari di svolgere un tema o qualsivoglia operazione più strettamente scolastica e può rappresentare un esercizio dello stile, del gusto e della critica. Ma deve esserci, alla base, la volontà di una società adulta che vuole davvero tornare a svolgere il suo mandato educativo ed è capace di cogliere ogni pretesto per conoscere e per conoscersi, sapendo che solo così potrà davvero offrire la bellezza del mondo, non solo il suo orrore, a coloro che verranno.
Ci sembra importante, in questa direzione, non cadere nell'errore di vedere solo un lato della luna, quello che chiama (in questo caso) all'allarmismo, ma provare a riflettere sull'importanza che hanno questi strumenti se ben utilizzati.
Infatti, se esistono sempre più casi di bambini e ragazzi (e adulti) che abusano delle nuove tecnologie e di cui anzitutto le famiglie a livello educativo dovrebbero occuparsi, ciò non significa che nelle nuove tecnologie non vi siano o non vi possano essere degli aspetti positivi.
La rete e i suoi strumenti di connessione rappresentano una rivoluzione epocale, infinitamente superiore (almeno in potenza) a quella della stampa -come per altro abbiamo già abbondantemente evidenziato nel post: "Perché studiamo come fossimo nell'Ottocento?". Ma per comprenderlo davvero, dobbiamo sforzarci di andare otre il diffuso dibattito che pervade l'umano quando si parla di nuove generazioni come di nuove tecnologie, cercando di opporci alla tentazione di vederne solo la dimensione deviante e, quindi, la sua conseguente demonizzazione, per soffermarsi invece sul valore positivo che ogni nuovo agito può restituire.
Fedele ad uno sguardo pedagogico promuovente, vorrei, allora, provare a guardare al fenomeno come risorsa e, attraverso questo sguardo, suggerire una possibile azione riabilitativa dello strumento e del suo uso, ad esempio puntando il telescopio sul proficuo rapporto che Smartphone & Co. potrebbero generare nelle relazione col linguaggio, in particolar modo scritto.
Uno dei presupposti da cui si potrebbe partire per compiere questa svolta “in positivo” è quello di considerare, secondo una corretta analisi linguistica, queste nuove tecnologie della comunicazione, quali strumenti capaci di definire profonde modificazioni nella morfologia, nella sintassi e persino nella fonetica delle lingue storico-naturali. Modificazioni che rappresentano, di fatto, la continua evoluzione cui sono sottoposte le lingue quando si confrontano con il reale suggellandone, di conseguenza, la loro vitalità.
Non si tratta, insomma, di trarne giudizi di valore, ma di provare a capire in cosa consista questa evoluzione e quali siano le sue possibili risorse rispetto al loro farsi strumento di conoscenza del mondo che ci circonda.
Tanto più che, a differenza di altre evoluzioni strettamente -e spesso tragicamente- governate dagli adulti, la lingua pasticciata dall'uso delle nuove tecnologie sembra per lo più patrimonio di quel prezioso tesoretto (questo sì, davvero prezioso) che dovrebbero essere gli adolescenti quando sono accompagnati da un mondo adulto che ne esalti le possibilità vitali e creative, e non sia invece esclusivamente concentrato a scovarne le “anormalità”, impedendosi un reale investimento sul fronte di quelle risorse che, comunque, ogni nuova generazione porta in dote.
La “normalità” degli adolescenti è, infatti, storicamente “anormale” (fuori da ogni norma) e sempre rivelatrice di quei nodi sociali ed esistenziali che caratterizzano le epoche a loro contingenti, proprio perché trattasi di una “normalità” in continua trasformazione che chiama, al contempo, ad una trasformazione dell’esistente lanciando al mondo adulto un surplus di senso, di interrogativi, di possibilità che approfondiscono le ragioni del vivere e che dovrebbero essere considerati enzimi del nostro futuro sociale.
Non a caso i più interessanti vagiti di comunicazione che si sviscerano attraverso le tecnologie digitali sono per lo più patrimonio delle nuove generazioni che attraverso questi strumenti esemplificano, in tutte le loro possibili estensioni, nuove grammatiche e sintassi che l’adulto non dovrebbe semplicemente censurare quando toccano limiti evidentemente deprecabili, ma provare invece ad accoglierle come l’autentica novità che rappresentano; cercando, semmai, di pre-occuparsi (di occuparsi preventivamente) affinché questa risorsa non si contamini, come invece sta accadendo, coi più ritriti e volgari, quando non violenti, luoghi comuni ereditati anzitutto dalla televisione.
Ci illudiamo che possa essere la scuola l’ambito più adatto per questo lavoro di accompagnamento. Una scuola che non commetta ancora una volta il tragico errore di snobbare queste nuove lingue, vive e in continua crescita, magari a favore di altre, ugualmente importanti, ma morte e definitivamente in stallo; per poi magari tentare di correre ai ripari con decenni di ritardo; così come provò, negli anni Settanta, con il linguaggio audiovisivo.
Giusto un'illusione, una speranza che va coltivata e che, se trova in molti docenti un saldo aggancio costruttivo, sconta con troppi altri la profonda arretratezza di chi crede che un Pdf (Portable Document Format) sia una qualche forma alternativa di Pdp (Piano Didattico Personalizzato).
(Quante volte, concludendo qualche incontro con insegnanti di ogni ordine è grado mi sento rispondere: "Mi spiace non ho una mail, sa... non ci capisco niente di 'ste cose", oppure: "Non ho la mail, le lascio l'indirizzo di mio marito/moglie/nipote" e via allucinando...).
È invece importante che qui e ora, adulti e ragazzi si trovino per compiere insieme questo passaggio, consapevoli di avere, entrambi, qualcosa da dare all'Altro: gli adulti con il loro sapere capace di mostrare le linee, nemmeno troppo sottili, che da sempre, nel connubio tra tecnologie e linguaggi, creano le nuove grammatiche di comprensione e denominazione del mondo; e i ragazzi con la loro sapienza, capace di restituire in pragma la grammatica delle tecnologie contemporanee.
Scrivere un tweet, realizzare un video per Youtube o un post per Facebook può essere una sfida cognitiva al pari di svolgere un tema o qualsivoglia operazione più strettamente scolastica e può rappresentare un esercizio dello stile, del gusto e della critica. Ma deve esserci, alla base, la volontà di una società adulta che vuole davvero tornare a svolgere il suo mandato educativo ed è capace di cogliere ogni pretesto per conoscere e per conoscersi, sapendo che solo così potrà davvero offrire la bellezza del mondo, non solo il suo orrore, a coloro che verranno.
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