Dire che siamo animali strani non rende appieno l'idea di tale stranezza e di come il paradosso guidi, più spesso di quanto immaginiamo, non solo le nostre scelte, ma persino le nostre funzionalità più basiche.
Siamo talmente strani che più scopriamo di noi e del nostro modo di sopravvivere in questo ospitale pianeta, più comprendiamo quanto (spesso) sia vero il contrario di tutto ciò in cui finora abbiamo creduto e che (pure) ci ha consentito di fare grandi progressi e conquiste, così da farci credere che le nostre ipotesi fossero esatte, quando invece semplicemente funzionano, hanno funzionato... almeno fino al punto da condurci sino qui dove siamo.
Tuttavia, oggi più che mai, la gran parte delle discipline che indagano e manipolano l’umano e i suoi confini, stanno giungendo alla conclusione che per andare oltre il punto cui siamo arrivati è necessario formulare altre ipotesi, poiché i vecchi paradigmi paiono non essere più in grado di spiegare la realtà che si produce sotto i nostri occhi.
Per fare un esempio che stia nel solco di questo articolo, nel corso delle nostre ricerche e dei nostri studi, abbiamo più volte potuto osservare e poi sperimentare in ambito clinico, quanto il procedimento logico e razionale si riveli per lo più disfunzionale alla soluzione di molte delle fatiche psichiche che ci attanagliano e che, per così dire: l’uso della ragione spesso ci consegna più fregature che benefici.
Eppure siamo diventati umani sviluppando un'area del cervello che abilita proprio il super potere della ragione; area che quando è presente in altri viventi (come nei nostri più vicini scimpanzé), lo è in forma decisamente depotenziata.
Si tratta della cosiddetta "corteccia frontale ventrolaterale" e, in particolare, all'interno di questa, il "polo frontale laterale" che nell'homo sapiens sapiens sembrerebbe assolvere, in maniera unica, alcuni compiti come quelli deputati alla pianificazione strategica, al processo decisionale o al "multi-tasking".
Un’area del cervello che, a differenza delle altre, non ha legami con gli aspetti corporei o con la realtà esterna, ma fluttua in un ambiente puramente neurale, e forse per questo è capace di azzardate astrazioni e produzioni di immagini proprie, distinte da ciò che che ci circonda.
Tuttavia, questo super potere che ci ha reso capaci di gradi imprese, in molti casi ci impedisce di vedere quanto le soluzioni siano altrove, magari proprio in alcune di quelle abilità più basse che condividiamo con gli altri animali.
Questo racconta, a mio avviso, una recente ricerca pubblicata sulla rivista "Journal of Neuroscience" in cui un gruppo di scienziati ha scoperto cosa avviene quando cerchiamo di concentrarci.
Si tratta di una scoperta per noi molto importante, poiché nei nostri percorsi in cui insegniamo, a studenti di tutte le età, le più efficaci strategie per apprendere, un posto d'onore è riservato proprio alla condivisione delle tecniche di potenziamento della concentrazione -anzitutto per combattere il suo contraltare: la distrazione, forse il più grande "maleficio" che ogni giorno ci regala la società dei consumi in cui viviamo (la "distrattite", infatti, colpisce un tal numero di studenti che la comunità medico scientifica ha più o meno dovuto "inventarsi" una serie di patologie -Dsa. Adhd, etc per giustificare un così elevato numero di soggetti che, in un modo o nell'altro, faticano a tenere un adeguato focus attentivo -per inciso, questo non significa che non esistano disturbi dell'apprendimento o da deficit dell'attenzione, ma che forse dovremmo guardare più a largo raggio e non risolvere troppo facilmente un problema così diffuso attribuendo al portatore del sintomo tutte le cause del sintomo.
Come spieghiamo nei nostri corsi, al fine di migliorare le capacità di apprendimento, è anzitutto determinate distinguere due diverse tipologie di distrazione: una benefica, cui il cervello è normalmente sottoposto e che è necessario sfruttare a nostro vantaggio, e una malefica, da cui dobbiamo assolutamente liberarci.
Quest'ultima la conosciamo benissimo tutti. Generalizzando potremmo definirla “la distrazione del desiderio”, disturbo che ci devia dalla situazione su cui dovremmo essere concentrati richiamando alla mente cose più piacevoli, meno faticose e che tanto si amplifica quando un richiamo esterno la sollecita -ad esempio ogni qual volta giunge il suono (deleterio) di un nuovo messaggio sul cellulare.
È, per intenderci, quella distrazione che colpisce ogni studente che non riesce a tenere gli occhi su un libro per più di cinque minuti, ma che -chissà come- è capace di passare ore concentrato sul tablet, magari seguendo le minute istruzioni di un gioco di ruolo cui è appassionato. Ecco, è la distrazione che si attiva quando manca il piacere -ma che, tuttavia, possiamo controllare utilizzando adeguate soluzioni.
La distrazione benefica è, invece, il tema di questa nuova scoperta neuroscientifica che dimostra perché alcune tecniche che adottiamo per aumentare la concentrazione siano così efficaci.
Pare, infatti, ci sia una certa area del cervello che si attiva per predisporci ad evitare di distrarci durante l'esecuzione di una attività. Si tratta, nella fattispecie, della corteccia medio-frontale destra, i cui meccanismi cerebrali sembrerebbero dedicati a filtrare gli stimoli per così dire “irrilevanti” che giungono ai nostri sensi mentre siamo impegnati in un compito che richiede la nostra concertazione.
L'aspetto interessante che hanno individuato i ricercatori è che proprio quando gli stimoli estranei si fanno più frequenti e rilevanti che l'area si attiva più velocemente e con maggiore efficacia. Potremmo dire, insomma, che più sono disturbanti i segnali estranei all'attività che richiede la nostra attenzione, più si attivano meccanismi capaci di escludere questi segnali stimolando quindi la concentrazione stessa.
Il cervello, dunque, sembrerebbe concentrarsi tanto più velocemente e con maggiore efficacia quanto più frequenti sono presenti condizioni distrattive divergenti dalla attività principale.
Questo non significa, ovviamente, che aumenterò la mia concentrazione se studio l'ultimo capitolo di storia mentre contemporaneamente gioco alla play-station o chatto con chicchessia su whatsapp. Queste sono, invece, le distrazioni malefiche da eliminare.
Si tratta, invece, di applicare precise e adeguate tecniche che questa nuova scoperta pare certificare, dimostrando che il miglior modo di concentrarsi è imparare a distrarsi bene, paradosso che, una volta in più, racconta dello strano animale che siamo e di quanto cammino ancora abbiamo da compiere per conoscerci veramente.
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Molto interessante, potrebbe parlarci delle tecniche da usare perché la distrazione sia una distrazione buona e i ragazzi sappiano distrarsi bene?
RispondiEliminaEsaustiva, interessantissima, attuale..( sic ! ) analisi del vivere distratti in negativo o positivo Il Paradosso del distrarsi BENE è quanto di più vero ed illuminante, per i bambini, per gli adolescenti, ed anche..per gli adulti :-)
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