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La famiglia oltre la scuola che non c'è

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Sì, lo so, non è la prima volta che lo affermo e, solo in questo blog, è già il secondo articolo che capitola sotto questo argomentare (leggi qui il precedente).

Ma il tema è così importante e -ahinoi- per nulla o poco attraversato, che ritengo fondamentale sviscerarlo, poiché le sue conseguenze, ben al di là di qualsivoglia teoria, ricadono concretamente sulla vita di tante famiglie che riceviamo costantemente in studio e (al di là di tutti gli spergiuri e le miscredenze) pregiudicheranno il futuro di molti, troppi ragazzi.

Dunque: la scuola non serve più, sta morendo -almeno per come la conosciamo noi viventi di questo scorcio di secolo. Forse non assisteremo noi ai suoi funerali, ma la sua dipartita è storicamente segnata e il nostro dramma è vivere il tempo della sua agonia che ne decreta l’inutilità.

Una delle più grandi conquiste della nostra civiltà fu la rimozione della scuola per pochi a vantaggio della scuola per tutti. I regimi totalitari ci insegnarono, poi, come questa istruzione di massa fosse materia delicata e facilmente prestabile alla manipolazione di giovani menti che, tutte da plasmare, potevano essere facilmente educate a idolatrare un qualche Dio o un qualche Duce -e a volte entrambi insieme.

impara un metodo di studio efficace
Dopo quella tragica esperienza, si cercò così di creare una scuola capace di insegnare, anzitutto, la criticità, la curiosità, la voglia di sapere, la libertà di pensiero, la conoscenza che crea cittadini liberi… ma fu esperienza breve e gli avamposti che, certo, ancora oggi permangono sono comunque troppo pochi e isolati.

Nuove idolatrie hanno sostituito le vecchie, paradigmi conformi ai dettami dell'imperante società dei consumi, e quell'uomo libero che doveva essere il fine della scuola, oggi si è ridotto alla possibilità di avere un buon impiego e diventare -appunto- un buon consumatore.

Le ultime statistiche ci restituiscono l'immagine di una gioventù deprimente: disarcionata della cultura (che non legge, non frequenta, non contesta), per lo più ignara di ciò che accade nel mondo, disinteressata alla politica (nel senso di quella polis che rimanda all'attiva partecipazione alla cura del proprio territorio), incapace di lottare per i propri diritti… Insomma, un eclatante fallimento di quella scuola capace di generare uomini pensanti o, altro verso della medaglia, clamoroso successo di una scuola tesa a produrre cittadini conformi alla società che la ingloba.

D'altronde, lo diceva già il buon Frank Zappa: “Le scuole formano persone ignoranti, con stile. Ti danno l’attrezzatura per essere un ignorante funzionale… Le scuole non danno i criteri con cui riconoscere il bene e il male; vi preparano ad essere una vittima utilizzabile per il complesso militare-industriale che ha bisogno di mano d’opera.”.

Così, la scuola, un tempo nata per livellare ogni differenza sociale, quella scuola la cui funzionalità era garantire a chiunque la possibilità di istruirsi e formarsi, a prescindere dalla provenienza e dalle possibilità (“I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi,” Costituzione Italiana Art. 34), ora si rivela vera nel suo versante deprimente: una scuola per tutti, che non serve a nessuno.

Anziché fare la fatica di essere veramente inclusivi, abbiano scelto la strada più facile: quella di una falsa inclusività che ha abbassato drasticamente le richieste in ogni istituto (d’ogni ordine e grado) affinché ognuno possa avere l’illusione di essere istruito. Perché, in fondo, una società che si fonda sul consumo, non ha bisogno di soggetti curiosi che aspirino a una conoscenza il più possibile illimitata, ma di soggetti acritici che aspirino ad un illimitato uso della loro carta di credito.

Non è un caso se la perorazione più diffusa nelle famiglie, per spronare i loro giovani rampolli ad un sano rapporto con la scuola, è quella di cercare di sollecitare il loro futuro benessere economico: far bene a scuola, cioè, come espediente per poter diventare un soggetto benestante. Ma la scuola, così com'è, è semplicemente anacronistica e utilizzarla come strumento per sollecitare immaginari (per altro falsi) di future gioie lavorative, è più dannoso che sensato (per altro c’è davvero ancora qualcuno che crede che il tenore di vita futuro sarà lo stesso di quello attuale?).

La scuola di oggi è, infatti, ancora (purtroppo) organizzata per far fronte a una situazione sociale segnata dalla necessità di superare l’analfabetismo e il passaggio da un’economia agricola a un’economia industriale. Una scuola amalgamata alle grandi ristrutturazioni sociali che stavano trasformando il nostro paese e per le quali era indispensabile un surplus di professioni allora scarse o addirittura inesistenti e che, oggi, le statistiche ci raccontano, in esubero. Insomma, se allora c’erano troppi soggetti che lavoravano con le mani e troppo pochi lavoratori dell’intelletto, oggi la situazione si è totalmente ribaltata.

Inoltre, se fino a qualche decina d’anni or sono, le mie competenze e le mie capacità si giocavano il loro possibile successo professionale lottando contro qualche dirimpettaio, oggi la lotta si è globalizzata e il competitor dei nuovi lavoratori è (e sempre più sarà) un qualsiasi cittadino del mondo, magari più preparato, con più necessità e voglia di successo e, a volte –purtroppo- maggiormente disposto a rinunciare a diritti e privilegi.

Insomma, lo stato vegetativo dell’istruzione contemporanea si palesa nel fatto che un tempo la scuola compensava e equilibrava le deficienze sociali e culturali delle famiglie, mentre oggi sono le famiglie a doversi fare carico di compensare le deficienze della scuola.

Si tratta di un assioma che è per tutti evidente quando la famiglia è chiamata a provvedere in proprio alle carenze di materiali didattici, carta igienica, o addirittura a imbiancare gli stessi edifici e, non per ultimo, a farsi carico di riparare, con ripetizioni di varia natura, le conoscenze che la scuola non riesce a trasmettere (si pensi su tutti alla lingua straniera) o trasmette male.

Meno evidente, invece, sembra il danno che la scuola sta procurando più a lungo termine e sul quale le famiglie non paiono ancora aver preso coscienza, illusoriamente protese a dare fiducia a un sistema istruttivo che, invece, lascia ben poche speranze -è sorprendente la quantità di famiglie che lotta perché il figlio abbia un buon voto in pagella, ma non muove un dito se questi non legge un libro nemmeno a sparagli, se non è curioso di nulla oltre il proprio ombelico, se non riesce a imbastire una discorso che duri più di 30 secondi...

Ma d''altra parte, cosa potrebbero fare le famiglie per immaginare il futuro ai loro figli se non aggrapparsi alla barca della scuola? Peccato che la barca stia affondando e l'unica vera speranza rimane il naufragio. 

Cerchiamo di capirci, non sto affermando che non dovremmo mandare i nostri figli a scuola, ma che la scuola -purtroppo- non è più sufficiente per la loro salvezza sociale ed è quindi necessario che la famiglia si attivi per favorire quelle conoscenze che il futuro richiede ma che la scuola -ad oggi- nemmeno riesce a vedere.

Nonostante tutte le correnti contrarie, aiutiamo dunque i nostri figli a diventare curiosi del mondo e di ciò che li circonda; sproniamogli a leggere (anche se dicono che non gli piace e preferirebbero videogiocare tutto il giorno); educhiamoli ad amare il sapere, a frequentare l'arte, la musica, il teatro, la poesia, perché la scuola non lo fa più, non ne è più capace o -perlomeno- non ha più le armi per esserne capace; insegniamogli allora noi a nutrire la mente, a sollecitare il dubbio e il paradosso, rendiamoli capaci di abitare l'instabilità e le contraddizioni... perché questi saranno domani gli strumenti di cui avranno bisogno, ben al di là di qualsivoglia formazione specialistica.


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1 commento:

  1. "educhiamoli ad amare il sapere",sì,ma, anche come genitori, facciamo qualcosa per cambiare questa scuola!

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