"Ricordo il corpo insegnanti della mia scuola pubblica... Avevamo un detto: chi non sa far niente insegna, chi non sa insegnare, insegna ginnastica. Quelli che neanche la ginnastica, credo li destinassero alla nostra scuola...".
E' la voce fuori campo di Woody Allen che, nel bellissimo "Io e Annie", riassume così la sua esperienza formativa, tanto simile a quella di molti.
Il problema della scuola, infatti... anzi, di più: il problema della nostra intera esperienza formativa (soprattutto nei primi anni, ma non solo, anche in molte situazioni di formazione permanente) è che, ieri come oggi, nella gran parte dei casi, incontra docenti che, pur bravissimi cultori della loro materia, non sanno tuttavia insegnare.
E' la voce fuori campo di Woody Allen che, nel bellissimo "Io e Annie", riassume così la sua esperienza formativa, tanto simile a quella di molti.
Il problema della scuola, infatti... anzi, di più: il problema della nostra intera esperienza formativa (soprattutto nei primi anni, ma non solo, anche in molte situazioni di formazione permanente) è che, ieri come oggi, nella gran parte dei casi, incontra docenti che, pur bravissimi cultori della loro materia, non sanno tuttavia insegnare.
Come bene sappiamo, conoscere a menadito -chessò- la storia della letteratura italiana o il processo della fissione nucleare, non significa saper ugualmente trasmetterli nel modo più adeguato agli allievi.
Se non so insegnare, ma semplicemente mi arrabatto per sciorinare tutte le mie belle e copiose nozioni, significa che non possiedo un metodo per farlo e, conseguentemente, che non saprò fornire un metodo per imparare.
Purtroppo, la gran parte degli insegnati, difettano in questo senso e, se non difettano, spesso il metodo che possiedono è rimasto involuto e, se ce l'hanno e non è involuto, più che spesso non hanno il tempo di soffermarsi, prima di ogni altra cosa, prima di qualsiasi spiegazione, a trasmettere ai loro allievi come si fa ad imparare, quali sono, insomma, le condizioni fondamentali affinché un'informazione giunga al cervello dello studente e lì si imprima.
Iniziare a imparare senza avere un metodo, è come dover scolpire un blocco di marmo senza sapere dell'esistenza di specifici attrezzi per farlo: l'improvvisazione la farà da padrone e può succedere pure che qualcuno cerchi di scalfire la pietra usando le unghie. Magari questi è pure un grande scultore e, alla fine, la sua opera sarà un capolavoro, ma la fatica e l'energia dispersa saranno incommensurabili, tanto da far perdere la voglia di fare un'altra opera.
Difficile non paragonare questa immagine alla stanca e trascinata vita di tanti studenti che perdono qualsiasi entusiasmo proprio perché un'inutile fatica soverchia qualsiasi barlume di pur nascosto piacere.
Da ragazzino ho avuto la fortuna di essere un buon calciatore e di passare una parte della mia prima giovinezza nel settore giovanile di una società di calcio professionista il cui obiettivo era (ed è), al di là di tante chicchere sul valore dello sport, quello di costruire dei prodotti da rivendere sul mercato. Insomma, non si pettinano bambole.
All'epoca ero uno studente delle scuole medie inferiori e mi sorprendevo a riflettere sulla differenza tra i miei insegnanti e i miei allenatori.
I primi mi spiegavano la lezione e poi dicevano, chessò: "Domani interrogazione.". Ovviamente nessuno sapeva chi sarebbe stato interrogato, per quell'illusa convinzione -tutt'oggi vigente- che un terrorismo diffuso porti gli studenti ad esser sempre preparati. Sapevano, dunque, che qualcuno sarebbe stato beccato, sapevano il numero di pagine da studiare e avevamo più o meno sentito il docente spiegare quella pagine nei giorni o nelle settimane precedenti. Doveva bastare. Come mandarle a memoria erano affari nostri. Un voto, alla fine dell'interrogazione, avrebbe sancito la nostra performance o, se era una verifica, una serie di segni rossi accompagnata talvolta da qualche minuta riflessione.
I miei allenatori, invece, prima dell'allenamento settimanale, annunciavano chi avrebbe giocato la domenica e chi sarebbe stato in panchina. Ognuno conosceva il suo destino e si preparava al meglio per interpretarlo. Durante gli allenamenti poi, con frequenza maniacale, ci osservavamo con attenzione e si soffermavano su quegli esercizi che ritenevano per ognuno di noi fondamentali, ci spiegavano come fare per ottenere in quella situazione il migliore risultato, ci facevano vedere come altri se l'erano cavata e come dovevamo prepararci per affrontarla al meglio, ci mostravano filmati delle nostre partite e ci illustravano passo passo perché quel movimento non aveva ottenuto gli effetti voluti, dispensando specifici esercizi per migliorare le nostre lacune.
Nonostante una verifica di matematica non sia una partita di calcio contro la ProNessuno, credo che le differenze tra insegnati e allenatori siano evidenti e sia inutile aggiungere alcunché.
Ora i vostri figli, i vostri studenti, ammesso che stiano usando un metodo di studio e non vadano a casaccio come lo scultore del nostro esempio, quale metodo stanno usando? È quello più adeguato o perdono un sacco di tempo e potrebbero ottenere risultati migliori magari faticando la metà? O addirittura, in assenza di un metodo, proprio non ce la fanno e sono arrivati al punto di odiare la scuola?
La mia esperienza mi dice che la gran parte degli studenti -ahìnoi- scolpisce marmo con le unghie.
Per questo ho ideato uno specifico percorso per aiutare ogni studente a imparare a imparare: perché non solo esiste il martello e lo scalpello, ma nel corso dei decenni, nel frattempo, sono stati inventati: raspe diamantate, trapani, frese, flessibili, smerigliatrici elettriche e pneumatiche, laser che sagomano il marmo comandati da un computer e ogni ben di Dio per non lasciare al caso la costruzione di quella grande opera che è la nostra vita.
Scopri qui come accedere al corso...
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