La condizione in cui versano le scuole italiane è a dir poco disastrosa, e non solo per quel che concerne gli ambienti fatiscenti, quando non addirittura decadenti, nel senso che de-cadono a pezzi sulla testa di studenti e insegnanti -questione che già di per sé non è ovviamente estranea all'efficacia dell'apprendimento.
Ma, pur facendo finta che si possa studiare in un ambiente spesso totalmente inadeguato, che non tiene conto dell'importanza che ha nei processi di apprendimento, ad esempio: il coinvolgimento dei sensi o la correttezza della postura (ne parleremo in questo blog); la cosa più preoccupante è, invece, l'arretramento persino delle più specifiche pratiche didattiche, abbandonate a una condizione poco più che ottocentesca: modelli che paiono totalmente ignorare gli stimoli e le indicazioni, ormai nemmeno così recenti, che giungono dalle ricerche neuroscientifiche e, con esse, le opportunità delle nuove tecnologie digitali e della rete internet.
Ma, pur facendo finta che si possa studiare in un ambiente spesso totalmente inadeguato, che non tiene conto dell'importanza che ha nei processi di apprendimento, ad esempio: il coinvolgimento dei sensi o la correttezza della postura (ne parleremo in questo blog); la cosa più preoccupante è, invece, l'arretramento persino delle più specifiche pratiche didattiche, abbandonate a una condizione poco più che ottocentesca: modelli che paiono totalmente ignorare gli stimoli e le indicazioni, ormai nemmeno così recenti, che giungono dalle ricerche neuroscientifiche e, con esse, le opportunità delle nuove tecnologie digitali e della rete internet.
Insomma, l'affermarsi dei nuovi software e hardware, in commistione con le rivelazioni (seppur ancora primordiali) sul funzionato del cervello che ci restituiscono gli strumenti di neuro-immagine, potrebbe e dovrebbe giocare un ruolo ben più determinante nell'affermarsi di una didattica innovativa, che corregga alcuni ormai evidenti errori che hanno determinato fino ad oggi i metodi di studio e di insegnamento.
Quello che, nella nostra utopia, non riusciamo a spiegarci, è l'assenza, in tutte le scuole di ogni ordine grado, di una disciplina che potremmo chiamare: "metodo di studio"; una materia che, adeguatamente ripartita per età e linguaggi dovrebbe ricoprire, oggi come mai, un'importanza fondamentale, pari alla matematica o alla letteratura -anzi, di più, poiché ad esse propedeutica.
Un'insegnamento da ripartire fin da subito ai nostri bambini, affinché imparino ad apprezzare la bellezza del sapere; una bellezza cui esperiamo, anzitutto, laddove (come per ogni cosa) sia in grado di promuovere il nostro godimento -ad esempio perché quella cosa ci viene facile, come ci spiegano tante ricerche sui cosiddetti "bravi scolari" che, appunto, restituiscono il loro sano rapporto con la scuola in virtù del loro non fare fatica.
< Come spesso dico: quando apprendere diventa facile, studiare diventa divertente.
Oggi, invece, sembra vigere ancora il concetto obosleto che se non si fa fatica, se non si impiega molto tempo, allora c'è qualcosa che non funziona -per altro comune a molte altre attività umane, si pensi al lavoro, all'arte, etc.
Si tratta, invece, di rendere facile l'apprendere, di renderlo veloce, senza depauperarlo, ma affinché -ad esempio- non rubi spazio a quel tempo altrettanto formativamente determinante che sono: le amicizie, il gioco, l'avventura, l'amore, la vita, elementi senza i quali qualsivoglia sapere è ben poca cosa.
Ciò detto, in attesa che la neuropedagogia (o, in questo caso: "neurodidattica"), con quel insano ritardo secolare, entri nelle scuole dalla porta principale, ogni giorno dedico parte del mio lavoro ad aiutare studenti, genitori, ingegnanti, formatori e educatori in genere a farla entrare dalla porta di servizio affinché, come diceva la bella canzone di Luigi Tenco: "Vedrai, vedrai / vedrai che cambierà / forse non sarà domani / ma un bel giorno cambierà...".
We'll see.
Quello che, nella nostra utopia, non riusciamo a spiegarci, è l'assenza, in tutte le scuole di ogni ordine grado, di una disciplina che potremmo chiamare: "metodo di studio"; una materia che, adeguatamente ripartita per età e linguaggi dovrebbe ricoprire, oggi come mai, un'importanza fondamentale, pari alla matematica o alla letteratura -anzi, di più, poiché ad esse propedeutica.
Un'insegnamento da ripartire fin da subito ai nostri bambini, affinché imparino ad apprezzare la bellezza del sapere; una bellezza cui esperiamo, anzitutto, laddove (come per ogni cosa) sia in grado di promuovere il nostro godimento -ad esempio perché quella cosa ci viene facile, come ci spiegano tante ricerche sui cosiddetti "bravi scolari" che, appunto, restituiscono il loro sano rapporto con la scuola in virtù del loro non fare fatica.
< Come spesso dico: quando apprendere diventa facile, studiare diventa divertente.
Oggi, invece, sembra vigere ancora il concetto obosleto che se non si fa fatica, se non si impiega molto tempo, allora c'è qualcosa che non funziona -per altro comune a molte altre attività umane, si pensi al lavoro, all'arte, etc.
Si tratta, invece, di rendere facile l'apprendere, di renderlo veloce, senza depauperarlo, ma affinché -ad esempio- non rubi spazio a quel tempo altrettanto formativamente determinante che sono: le amicizie, il gioco, l'avventura, l'amore, la vita, elementi senza i quali qualsivoglia sapere è ben poca cosa.
Ciò detto, in attesa che la neuropedagogia (o, in questo caso: "neurodidattica"), con quel insano ritardo secolare, entri nelle scuole dalla porta principale, ogni giorno dedico parte del mio lavoro ad aiutare studenti, genitori, ingegnanti, formatori e educatori in genere a farla entrare dalla porta di servizio affinché, come diceva la bella canzone di Luigi Tenco: "Vedrai, vedrai / vedrai che cambierà / forse non sarà domani / ma un bel giorno cambierà...".
We'll see.
Ti è piaciuto l'articolo? Seguimi su Facebook...
Nessun commento:
Posta un commento